Sono in sala d’attesa, seduta su una scomoda sedia di plastica. Al giorno d’oggi, quando attendi, cosa fai: sbirci il cellulare.I canali social cercano di accaparrarsi la tua distratta attenzione, offrendoti scritti, post, video e pubblicità di ogni genere. Annoiata, sfoglio i giornali virtuali, così luminosi… anche troppo direi, grazie ad una batteria, che si dice e prospetta di lunga durata.In un attimo il mio pensiero sfugge.
Corre via, velocemente, senza una meta precisa.
Si ferma.
Indietreggia.
Improvvisamente mi ritrovo catapultata indietro nel tempo, circa venticinque anni fa, prima dell’avvento dei cellulari. Mi immagino qui, seduta su una scomoda sedia di legno, nella stessa situazione. Non ricordo bene, allora, di come cercavo di “ammazzare” il tempo che, nel suo andare lento, non voleva passare. Forse sfogliando delle riviste sparpagliate, disordinatamente, sul tavolino sbiadito che mi guardava perplesso. O forse leggendo un libro portato da casa. Forse… ma non riesco proprio a ricordare.
Di sicuro il tempo dell’attesa è rimasto lo stesso. Ieri come oggi e come lo sarà in futuro. Forse solo quello, mentre tutto il resto cambia, inesorabilmente, col passare degli anni.
Chissà se un giorno, chi si accomoderà su questa sedia, avrà lo stesso mio pensiero.
Chissà quali domande si porrà e quali risposte si darà, mentre il tempo dell’attesa rimarrà sempre lo stesso: lento nel suo trascorrere ed, inesorabilmente, infinito nel suo essere sempre uguale.
Copyrigh su testo e Immagini: Danil Poet And Artist